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About Art – Il genio di Keith Haring a Milano

Come sapete amo andare per mostre e in questo post vi avevo anticipato che questo sarebbe stato un anno molto ricco per il panorama culturale milanese.

Questo fine settimana ho avuto la possibilità di visitare la bellissima mostra di Keith Haring a Palazzo Reale. L’esposizione raccoglie oltre 100 opere dell’artista ed è davvero un’esplosione di colori e di genio.

La street art piace perché non ha troppi fronzoli, è frontale e diretta, sarà per questo che ho visto molti bambini alla mostra. Finalmente questo artista viene celebrato in quello che viene considerato il tempio delle mostre italiane. Primo suggerimento pratico: andate a vederla durante la settimana se ne avete la possibilià perchè sicuramente riuscirete a godervela di più.

Per saltare eventuali code potete sempre acquistare il biglietto on line ma attenti a una sola cosa: le disponibilità di biglietti relative ai singoli orari (sì, dovete indicare a quale ora volete entrare) possono variare a seconda del giorno in cui prenotate.

Detto questo bisogna anche tenere in considerazione che la mostra sarà visitabile fino al 18 giugno, quindi c’è tempo!

Conosco ben questo artista perchè mi affascina da sempre e se dovessi riassumere la sua essenza potrei farlo con una delle frasi che ho letto prorpio durante la visita.

“Penso di essere nato artista, penso di avere la responsabilità di riuscirci. Ho imparato studiando la vita di altri artisti e studiando il mondo”.

La sua storia personale è molto affascinante. Il padre è un ingegnere e fumettista dilettante ed è lui a “iniziare” all’estetica il piccolo Keith, nato il 4 maggio del 1958 e cresciuto tra cartoni e fumetti nella fin troppo tranquilla cittadina di Kutztown, in Pennsylvania. La parte del leone la fa però la madre, che lo porta all’Hirshhorn Museum di Washington dove Haring ammira a bocca aperta la grande opera di Andy Warhol dedicata a Marilyn Monroe.

Nell’aprile del 1986, Haring apre il Pop Shop, un negozio a Soho dove vende T-shirt, giocattoli, poster, pulsanti e magneti recanti le sue immagini. Haring aveva il desiderio di mettere le proprie opere a disposizione del più vasto pubblico possibile, e ha ricevuto un forte sostegno per il suo progetto da parte di amici, fan e mentori, tra cui Andy Warhol.

Ama frequentare posti insoliti, perchè ritiene che frequentare certi posti gli permetta di evedere dal quotidiano e di osservare la vita. È del 1974 la prima opera conosciuta di Keith Haring, ed è un pezzo di carta alto 40 cm e largo 60 dove con un pennarello disegna quella che in quel momento è la sua iconografia di riferimento: fumetti e cartoni, ma anche droga e alcol, con i quali Haring avrebbe fatto i conti per tutta la vita.

Si lascia ispirare dalla musica e infatti ascolta i Beatles, gli Aerosmith, i Black Sabbath e gli Humble Pie.

A 18 anni si diploma alla High School di Kutztown e finalmente può trasferirsi a Pittsburgh per frequentare la Ivy School of Professional Art, dove si iscrive ai corsi di grafica pubblicitaria. Studia molto gli artisti che in quegli anni la fanno da padrone nel panorama internazionale, come il pioniere dell’Art Brut Jean Dubuffet, “l’impacchettatore” Christo, ma anche gli scomparsi Pollock e Paul Klee. Ha bisogno di attingere dalle loro vite e non solo dalla loro arte.

Il concetto di linea per lui diventa quasi un’ossessione e per questo i suoi lavori sono segni grafici che sembrano geroglifici, dalle linee fittissime e con l’inchiostro che emerge prepotente e sembra schizzare fuori dalla superficie.

Diventa in brevissimo tempo una super star e realizza murali in tutto il mondo su palazzi, chiese, ospedali, capannoni e persino sul Muro di Berlino, quando il Mauer Museum decide di rivolgersi a lui per mandare un messaggio di pace attraverso un murale lungo oltre 300 metri, che andrà ovviamente perso con la caduta del muro nel 1989.

Durante la sua carriera, Haring ha dedicato molto del suo tempo a lavori pubblici, che spesso portavano messaggi sociali. Ha prodotto più di 50 opere pubbliche tra il 1982 e il 1989, in decine di città in tutto il mondo, molte delle quali sono state create, come beneficenza, per ospedali, centri diurni per bambini e orfanotrofi.

È particolarmente emozionante la tela The Last Rainforest, una sorta di chiusura del cerchio, una tela densissima che a prima vista sembra uno scenario apocalittico. Ci sono la violenza, il sesso, la malattia, la morte, l’ambiente devastato. Però, mimetizzato in quello scenario infernale, al centro si vede un piccolo Radiant Baby, protetto da un albero come in un grembo.

Nel 1988 all’artista viene diagnosticato l’AIDS  e l’anno successivo apre la Keith Haring Foundation, per la lotta alla malattia. E’ stato comunque un artista molto prolifico basti pensare che è stato presente in più di 100 mostre tra personali e collettive.

Pochi mesi prima di morire Haring ha dichiarato in un’intervista che quando era piccolo pensava che sarebbe morto giovane e per questo aveva vissuto come se se lo aspettasse. Ha anche aggiunto «Ho fatto tutto quello che volevo».

L’ultima sala ospita alcuni video. Secondo me è la sezione più sacrificata della mostra e avrei voluto vedere e asoltare l’artista mentre realizzava i suoi capovolavori. E’ anche vero che Keith era molto schivo e difficilmente rilasciava interviste.

Ad ogni modo la ritengo una bella mostra, davvero ricca. Perdetevi enlle sale di Palazzo Reale come ho fatto io e se potete portateci i bambini. Non c’è bisogno di dare un significato a tutto, a volte basta lasciarsi trasportare da quello che si sente e i bambini in questo sono maestri.

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