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Il regno dei sogni e della follia: Studio Ghibli

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Era da un po’ che non scrivevo sul blog e ho deciso di tornare con quello che secondo me è un vero gioiello. Lucky Red ha portato al cinema con un evento speciale (previsto per il 25 e il 26 maggio) Il Regno dei Sogni e della Follia, il documentario sullo Studio Ghibli diretto da Mami Sunada.

Voglio partire dalla fine. Dopo averlo visto ho provato delle sensazioni molto piacevoli. Nell’ordine: pace, ordine, leggerezza, fermento creativo. La prima volta che mi è capitato di fare una passeggiata ho alzato gli occhi al cielo e ho avuto la sensazione di essere in uno dei disegni del regista. Il cielo era lo stesso che avevo osservato la settimana prima, erano i miei occhi a guardarlo diversamente e credo che questo documentario abbia influito moltissimo.

La fabbrica dei sogni e della follia è lo Studio Ghibli (il nome dello studio deriva dal nome di un aereo) .

Associato comunemente a Hayao Miyazaki, nasce in realtà sulla base di una intuizione condivisa con Isao Takahata il 15 giugno del 1985, dopo anni in cui i due hanno lavorato al colosso Toei Animation.

Ottenuto il permesso di accedere quasi illimitatamente all’interno dello Studio Ghibli, Mami Sunada segue nel corso di un anno i maestri Hayao Miyazaki e Isao Takahata e il produttore Toshio Suzuki intenti nel completare i loro ultimi capolavori: “Si alza il vento” e “La storia della principessa splendente”. Il documentario offre per la prima volta l’opportunità di compiere un viaggio affascinante e indimenticabile all’interno di uno dei laboratori di animazione più amati al mondo. Un luogo unico dove il sogno e la passione rasentano la follia.

Voglio raccontarvi cosa mi ha colpito e soprattutto perchè.

Prima di tutto la location. Il regista Hayao Miyazaki crea i suoi capolavori presso lo studio di Koganei, un piccolo sobborgo fuori Tokyo. Lo studio è un luminoso edificio di tre piani circondato da un parco.

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Gli ambienti e le atmosfere dello studio spesso le ritroviamo nelle tavole disegnate dal regista.

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Nell’edificio da tempo immemorabile si aggira una gatta bianca bellissima e pigrissima, sembra l’incarnazione di Totoro (uno dei personaggi più famosi dello studio). La signora Uscico, questo il nome della gatta, è libera di gironzolare per tutto l’ufficio e il giardino, ma non si avvicina mai ai luoghi in cui si realizza l’animazione e dove lavora Miyazaki.

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La postazione di lavoro del regista si trova accanto ad una grande finestra e non c’è traccia di  computer o aggeggi elettronici. Un tappeto di matite colorate e fogli bianchi. Per distinguere i vari plichi di disegni e lo stato dei lavori esistono tre codici, contraddistinti da altrettanti colori:

Rosso: linea dell’infinito

Gialla: su impegnati!

Azzurro: linea del Paradiso

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Miyazaki lavora tutti i giorni dalle 11 di mattina alle nove di sera, seguendo un certo numero di rituali – il saluto ai bambini dell’asilo aziendale, la ginnastica mattutina, le passeggiate sul tetto, la pause-sigaretta. Non stravolge mai il suo ritmo quotidiano. Lavora dal lunedì al sabato, anche durante i giorni festivi ed è una sua scelta perchè dice che così la domenica è molto impegnato e non ozia. Finito di lavorare si reca a piedi a casa che è vicino allo studio. Una delle sue attività preferite e che lo rilassano nei giorni in cui non lavora è quella di pulire il letto del piccolo fiume che scorre vicino lo studio.

La base del suo vivere è molto semplice: si massaggia con una spazzola tutte le mattine, fa ginnastica, una doccia, porta fuori la spazzatura, beve un caffè e poi fa un pasto. Si prende cura di sè, ed è da questa “sfera visiva” che osserva il mondo.

Il regista ha un rapporto molto singolare con i sentimenti. E’ stato sposato e quando gli viene chiesto di raccontare come mai ha sposato sua moglie lui risponde così: ” Le ho chiesto di sposarmi e non potevo  più tirarmi indietro. Perchè? Perchè lo sentivo. E perchè lo sentiva? Questo è uno dei misteri della vita!”.

Ma torniamo al lavoro nello studio.

Si occupa in prima persona di tutti gli storyboard, che traccia e poi ripassa mentalmente recitando le battute e cronometrandosi, per capire se le immagini sono sufficienti a contenere i dialoghi. E’ un uomo molto esigente, non tutti resistono e infatti nello studio è appeso in bella vista un cartello che recita così:

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Indossa sempre un grembiule bianco e distribuisce compiti e correzioni con calma e gentilezza, ma induce comunque un rispetto timoroso. Fra le righe emerge il ritratto di un uomo molto più concreto di quanto lo dipinga la leggenda, seppur legato intimamente alle proprie visioni e alle proprie memorie.

Alla fine del documentario come accennavo all’inizio del post nella memoria restano soprattutto gli squarci di bellezza catturati della regia: i tramonti su Tokyo, le passeggiate nei giardini, il tono colloquiale delle riunioni, l’attitudine giocosa al lavoro. E’ meravigliosa l’ultima sequenza sull’importanza di guardare le cose dall’alto quando il vento soffia.

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