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Il mondo di Tim Burton al Museo del Cinema di Torino

Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di essere invitata a vedere la bellissima mostra di Tim Burton che è ospitata presso il Museo del Cinema di Torino.

Nel 2008 il MOMA di New York propose a Burton di realizzare una mostra itinerante che toccasse mezzo globo, l’ambizioso progetto ne ha fatta di strada senza però mai raggiungere il nostp Paese.

La mostra è stata curata da Jenny He, e fortemente voluta dal direttore del museo: Domenico De Gaetano.

IL PERCORSO ESPOSITIVO

540 opere che raccontano l’inarrestabile creatività dell’iconico film maker, ponendo un’attenzione particolare su tutto quello che vi è prima e dietro l’opera finale. Protagonista assoluta della rassegna è dunque la mente stessa del regista che si esprime con schizzi, storyboard, disegni e manichini in scala reale. Un viaggio sorprendente nei meandri di un universo immaginifico che continua ancora oggi a influenzare artisti, scrittori e semplici estimatori che, almeno una volta nella vita, hanno trovato conforto in quelle emblematiche creature tanto buffe e grottesche, quanto incomprese e misteriose.

Un talento che nasce nel mondo inintelligibile della fantasia per diventare la concretezza quotidiana di sentimenti umani che, spesso intraducibili a parole, diventano immagini, creature e scenari, capaci di riflettere il volto degli individui e accoglierli, spaventarli, sorprenderli, divertirli. Ai suoi esordi nel mondo del cinema, però, l’inventiva di Tim Burton non viene immediatamente compresa.

La mostra abita tutti gli spazi del Museo, dalla rampa elicoidale all’ascensore, dall’ingresso ai giardini, dal piano di accoglienza al Caffè Vergnano.

Il pubblico viene accolto dalle installazioni esterne al museo, ovvero: il gigantesco gonfiabile raffigurante il bambino palloncino e le siepi ispirate a Edward mani di forbice; per poi inoltrarsi nella bocca spalancata di un mostro bizzarro ed entrare nel vivo della mostra.

La mostra è suddivisa in nove sezioni tematiche, rivela l’enorme fantasia di Tim Burton attraverso opere realizzate con le tecniche più disparate e sui supporti più improbabili. Si passa dai bellissimi schizzi sui tovagliolini di alberghi e ristoranti, agli sketch per progetti mai realizzati, dalle sculture di grandi dimensioni, a frammenti di cortometraggi, videoclip e polaroid giganti – stampate grazie all’ormai rara Polaroid 20 x 24 – prodotte tra il 1992 e il 1999.

Lungo la rampa del Museo del Cinema, che segue concettualmente le caratteristiche figure spiraliforme tanto presenti nell’immaginario burtoniano, la mostra dà lustro a tutta la tenacia e la sensibilità di Tim Burton.

Tra le sezioni più incisive è d’obbligo citare quella dedicata agli outsider, ai Reietti incompresi 

Vivono ai margini della società, della cosiddetta società normale, vengono discriminati e poi alla fine, in qualche modo, trovano un loro posto o comunque vivono la loro avventura.

Domenico De Gaetano

MASTERCLASS

Ho avuto anche la possibilità di assistere ad una Masterclass e devo dire che sono rimasta molto colpita perchè in quella occasione ho potuto constatare che lui riesce ad arrivare alle persone per l’enerme sensibilità che si porta dentro. Infinitamente autoironico e umile. La sua infinita curiosità non lo ha mai abbandonato e anzi lo ha sempre portato ad andare oltre.

Lavorare ad un progetto o ad un personaggio implica sempre attingere al proprio vissuto personale e non sempre è semplice trovare il giusto distacco. Anche l‘ambiente secondo Burton è fondamentale e sono rimasta letteralmente incantata nel vedere la ricostruzione del suo studio. Solo quello sembra un capolavoro.

Poter esprimere se stessi è una grande fortuna e la libertà di scegliere a cosa lavorare o non lavorare secondo Burton è come vincere alla lotteria ma per farlo devi lavorare sodo, sempre e con costanza. Non importa dove tu ti trovi, scrivi, disegna, pensa, viaggia, ozia.

I miei genitori mi hanno raccontato che prima ancora di cominciare a parlare stavo ore davanti ai film di mostri, senza averne alcuna paura. L’emozione più forte l’ho provata la prima volta in cui ho visto precipitare King Kong dall’Empire State Building. Ancora oggi quando alla fine di un film il mostro muore, mi commuovo sempre. Perché nel corso della proiezione siamo diventati amici. Da bambino mi sentivo consolato da Frankenstein: era come me, inadeguato e incompreso.

Tim Burton

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