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Teatro alla Scala 2021 – Macbeth

Il Teatro alla Scala inaugura la stagione lirica con il “Macbeth”. E dopo il galà esclusivamente televisivo dell’anno scorso causa pandemia la Prima torna in presenza con il pubblico al completo in sala.

Non so voi, ma credo che sia un bel segnale soprattutto se consideriamo che i teatri di Austria e Germania sono costretti a chiudere per colpa del Covid. Un bel segnale per le maestranze tutte e per gli artisti e musicisti.

Il 7 dicembre è andata in scena l’opera che chiude la “trilogia giovanile” di Giuseppe Verdi voluta dal direttore musicale Riccardo Chailly, (iniziata nel 2015 con “Giovanna d’Arco” e proseguita nel 2018 con “Attila”).

Macbeth: la storia della genesi dell’opera

Dopo l’iniziale successo, il 14 marzo 1847, al Teatro della Pergola di Firenze, l’opera cadde nel dimenticatoio, e in Italia fu riportata in auge con strepitoso successo al Teatro alla Scala il 7 dicembre 1952, con Maria Callas nei panni della protagonista femminile. Da allora è entrata stabilmente in repertorio.

Maria Callas

La complessa struttura del dramma shakespeariano in cinque atti fu sintetizzata da Francesco Maria Piave, non senza difficoltà, in una struttura in quattro atti che prevede numerosi cambi di scena e scenari variegati, con ben due scene ambientate nel bosco (introduzione dell’atto primo e finale ultimo). Il lavoro di Piave fu rivisto da Andrea Maffei e il risultato finale mostra una notevole aderenza al testo di Shakespeare.

7 dicembre 2021 – Teatro alla Scala

Macbeth va in scena con la regia di Davide Livermore, al suo quarto spettacolo inaugurale, insieme agli scenografi di Giò Forma, al costumista Gianluca Falaschi, le immagini di D-Wok e un grande cast: Anna Netrebko (Lady Macbeth), Luca Salsi (Macbeth), Ildar Abdrazakov (Banco) e Francesco Meli (Macduff).

Macbeth

Nella Scozia dell’anno Mille due nobili guerrieri, Macbeth e Banco, ricevono dalle streghe una profezia: il primo sarà re, il secondo padre di un re. Dopo averlo saputo, Lady Macbeth esorta il marito ad assassinare il legittimo sovrano e a prenderne il posto (Atto I). Ora però i due temono Banco e suo figlio: riescono ad assassinare il primo, mentre il secondo fugge in Inghilterra (Atto II).

La paura di essere ucciso continua a crescere e Macbeth stermina anche la famiglia dell’ex amico Macduff, che sta formando un esercito per combatterlo (Atto III). Giunge la resa dei conti: mentre Lady Macbeth muore nel delirio della pazzia, Macbeth affronta in duello proprio Macduff. Confida in una nuova profezia delle streghe, che però si rivelerà una beffa atroce… (Atto IV). 

“Macbeth” racconta il dramma dell’ambizione politica ad ogni costo, del delitto e del rimorso, fatti comuni ad ogni tempo della storia dell’uomo. Una storia quanto mai attuale. E’ il racconto della catastrofe di una società non attraverso la cronaca ma attraverso un “altrove”, perché di fronte alla dittatura gli esseri umani sono tutti nella stessa barca. Per allestire la decima opera di Verdi, tratta dalla tragedia di William Shakespeare, viene abbandonato quindi il filtro della rappresentazione in costume, e si offre una città Novecentesca che richiama tanto le architetture di Frank Lloyd Wright quanto quelle di Piero Portaluppi.

IN SCENA

Dopo un emozionante applauso al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, lo spettacolo comincia.

Le luci si abbassano e sulle note del preludio il sipario si apre mostrandoci un’auto ferma in un bosco dove Macbeth e Banco, a giudicare dai cadaveri disseminati tutt’intorno, hanno appena vinto una battaglia.

Qualche istante dopo riprendono le loro spade, salgono in auto, escono dal bosco e si dirigono ai margini di una città fatta di grattacieli. Lo splendido impianto scenico curato da Giò Forma, fatto di piattaforme che si alzano e scendono ricreando ambienti diversi, ma soprattutto le ottime proiezioni di D-WOK, il tutto ben coadiuvato dalle luci di Antonio Castro e dai costumi di Gianluca Falaschi, ci presentano un mondo che ricorda tantissimo quello di Inception, il film di Christopher Nolan con Leonardo Di Caprio che nel 2011 vinse quattro premi Oscar.

Interi quartieri si rispecchiano nel cielo, si muovono, si sgretolano, talvolta prendono fuoco, si dissolvono e cambiano aspetto. La parte visiva è davvero ben studiata, realizzata perfettamente e l’alta professionalità messa in campo è parsa evidente.

La parola chiave per comprendere l’allestimento di Macbeth che ha inaugurato, tra applausi e contestazioni, la stagione 2021/22 del Teatro alla Scala è uno dei tanti termini inflazionati, e spesso usati a sproposito, che oggi vanno di moda: distopia. Ovvero, il contrario di utopia: un incubo al posto del sogno.

Davide Livermore ambienta infatti l’opera in una città distopica, angosciosa e fagocitante, sfondo ideale per una società dove l’umanità della persona è bandita e sacrificata al sistema di potere e al profitto. Si vedono skyline di grattacieli, anche rovesciati (come in Upside Down, un film di Juan Solanas dove agiscono gli abitanti di due mondi opposti e separati), si moltiplicano distorsioni prospettiche e visioni labirintiche, luoghi e non-luoghi metropolitani tra i quali non manca nemmeno un omaggio a Milano: l’interno del grattacielo in cui abita Macbeth rievoca infatti il progetto mai realizzato di Piero Portaluppi per l’edifico S.T.T.S. in corso Sempione, Tre case nuove strambe del 1926, che ha per simbolo un labirinto.

Le scene in cui Macbeth e Banco viaggiano in auto attraversando foreste incantate o grandi avenue, come quelle in cui i protagonisti salgono nell’ascensore che li porta ai piani alti del potere, o ancora la scena del sonnambulismo in cui la Lady canta sospesa su un cornicione, sono di gran lunga più suggestive e godibili in tv, grazie anche agli effetti prodotti da microcamere che offrono inquadrature e dettagli non visibili in sala.

Sono tanti i punti complessi nelle movimentazioni sceniche dell’opera. Ad esempio i movimenti delle quinte che sparivano nel soffitto per creare i piani dei grattacielo, e che si componevano fluttuando nell’aria scendendo dall’alto colme di bilance luci. Come pure un muro di vidiwall sul fondo scenico con due enormi specchi ai lati, anch’essi movimentati, che oltre che allargare e dare un senso di infinito alle immagini si muovevano per far entrare ed uscire i personaggi ed alcuni elementi di scena.

L’elemento di novità mai realizzato prima nel Teatro alla Scala è stata la creazione di una quinta dimensione nascosta nel sottopalco in una voragine immensa, una sorta di secondo palco: una struttura di acciaio e ferro autoportante che entrava e usciva grazie all’armamento dei ponti teatrali. Questa scatola scenica è diventata la stanza di Lady Macbeth e si è ispirata alla Neue National Galerie di Mies Van de Rohe. Lunga 20 metri e larga otto, per un’altezza di 8 metri la scatola, pur pesantissima, emergeva dal pavimento e sprofondava in pochissimo tempo, circa 40 secondi, nell’assoluto silenzio musicale diventando il nuovo palcoscenico sul quale si muovevano e ballavano circa 160 persone. Un’opera resa possibile grazie alle maestranze scaligere e agli ingegneri che in breve tempo sono riusciti a rendere tangibile questa idea”.

Nel terzo atto, Daniel Ezralow con le sue coreografie vuole dar vita ad “una metafora dei mali del nostro mondo, che partono da Trump e arrivano alla pandemia”. Dalle sue coreagrafie sinceramente mi aspettavo di più, visto che a mio avviso è ancora uno dei più visionari e anticipatori come coreografi a livello mondiale.

Nel quarto atto, infine, risulta d’effetto (più in tv che in teatro), la scena del sonnambulismo e ha una qualche suggestione il coro “Patria oppressa” ambientato tra le ciminiere di Battersea, con i profughi rinchiusi dietro una cancellata: una visione che richiama la copertina di Animals, l’album dei Pink Floyd ispirato a La fattoria degli animali di Orwell.

La Prima del Teatro alla Scala si è conclusa tra applusi e alcuni dissensi soprattitto rivolti al regista Livermore.

Devo dire che apprezzo molto quando di un’opera “classica” si creano versioni più moderne e che soprattutto fanno discutere. La creatività è bella proprio perché permette di generare confronto. L’opera, il bel canto devono arrivare a tutti, superare i confini stessi del teatro. La vera opera, il dramma spesso si svolgono ogni giorno sotto i nostri occhi. Ho letto alcuni articoli in cui sottolineavano che le streghe di questa versione di Macbeth non incutevano terrore….Perché, il male mira ad essere annunciato? E da quando? Spesso il “male” assume volti rassicuranti e addirittura affascinanti. Si nutre di apparenza, proprio come i nostri tempi.

L’aspetto che invece mi è piaciuto meno della rappresentazione è che nella spaventosa città distopica pensata da Livermore c’è posto solo per lotte e soprusi, dominazione e sopravvivenza, e chi verrà dopo Macbeth continuerà con gli abusi di potere: Macduff e il nuovo re, Malcom, ingabbieranno pure loro il popolo togliendo ogni spazio alla speranza di una possibile rinascita e al senso della pietas.

Nel descrivere l’isterico tracollo di un potente e il tragico destino della sua malvagia consorte, Livermore sembra dimenticare l’umanesimo che rappresenta il punto di contatto tra Verdi e Shakespeare, per i quali esiste il male, non l’uomo naturalmente malvagio. Lo spirito umanista non cancella l’uomo per il diabolico: ha consapevolezza della lacerazione del reale ma, allo stesso tempo, esplora il terreno su cui si può tentare di ricomporre il conflitto, restituendo un qualche ordine al disegno strappato e frammentario della vita.

Lascio i tecnicismi agli esperti ma di certo dopo anni di silenzio è stato bello vedere il “Teatro per eccellenza” colmo di persone e di vita. Tutte le maestranze e professionisti che hanno lavorato a questa Prima hanno fatto un lavoro enorme, sopattutto se pensiamo alle stringenti norme che hanno dovuto rispettare in tempi di pandemia.

Ben venga un’opera contemporanea che avvicina i giovani a questo bellissimo mondo e che non fa altro che indagare l’animo umano.

Potete rivedere lo spettacolo sul sito di RaiPlay, QUI.

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